I Promessi Sposi del 1840, opera anche nota come la Quarantana, costituiscono l'edizione definitiva di una tra i più importanti lavori della nostra Letteratura.
Riproniamo qui uno stralcio di un bel articolo di Daniele Bresciani, pubblicato su Wuz nel 2002 (l'integrale lo trova qui) che ricostruisce minuziosamente il lungo e tortuoso "percorso" attraverso il quale questa edizione arrivò a conclusione.
Oltre vent’anni per
portare a termine un’opera. Per l’esattezza, 21 anni e 7 mesi: tanto tempo
trascorre tra l’avvio della prima stesura e la pubblicazione dell’ultimo
fascicolo dell’edizione definitiva di quello che con ogni probabilità è il
romanzo più celebre della letteratura italiana, I
promessi sposi di Alessandro Manzoni. L’inizio del lavoro è
individuabile con precisione assoluta, visto che l’autore pone una data in
testa al foglio della minuta dove comincia Il
curato di …, il primo capitolo del Fermo
e Lucia (questo il titolo provvisorio dell’opera). La data è quella del
24 aprile 1821 e lo scrittore milanese ha 36 anni (...)
La stesura del
manoscritto del Fermo e Lucia si
conclude nel settembre del 1823, ma contestualmente comincia la revisione
dell’opera, che viene presentata alla censura con il titolo Gli sposi promessi e finita di stampare, con
il titolo definitivo I promessi sposi,
solo nel 1827 e che per questo è comunemente detta “ventisettana”. A dire il
vero, lo stampatore Vincenzo Ferrario è in grado di sottoporre al Censore il
primo tomo dell’opera già il 30 giugno 1824 e tra luglio e ottobre il volume
esce dai torchi milanesi con la data 1825: l’intenzione, o almeno la speranza,
è infatti quella di portare a conclusione l’intero romanzo entro quell’anno. La
tabella di marcia viene rispettata con il secondo tomo, ma per il terzo sarà
necessario attendere di più e anche se la data posta all’inizio del volume è
1826 (l’imprimatur sulla copia della
Censura è del 7 luglio), la diffusione dell’editio
princeps dei Promessi sposi si ha
solo nel giugno del 1827. Tre volumi in-8 (pagine 4 n.n.+ 352, 4 n.n. + 368, 4
n.n.+ 416 +2 n.n.), con una semplice brossura giallo avana incorniciata con il
titolo, I promessi sposi, e il numero
del tomo. Il Manzoni continua a correggere e a rivedere il proprio lavoro anche
quando la stampa è avviata e questo consente oggi di distinguere alcuni
esemplari della prima tiratura da quelli successivi: nell’errata, posta al
termine dell’ultimo volume, viene infatti riportato che l’errore alla riga 13 a
pagina 378 del terzo tomo (questa storia
da correggere in di questa storia) è
presente soltanto in alcuni esemplari, che sono quindi più appetibili per i
bibliofili(...)
Il 15 luglio 1827 la famiglia Manzoni quasi al completo sale
in carrozza e parte per la Toscana. I promessi
sposi del Ferrario sono usciti da pochi giorni, ma già l’autore sente la
necessità di rivedere l’opera. Soprattutto vuole ripulire il linguaggio dalle
inevitabili influenze lombarde e adeguarsi a un idioma unitario. A Firenze il
Manzoni conosce Pietro Giordani, Gino Capponi, più fugacemente Giacomo
Leopardi, e soprattutto si avvale dell’aiuto di Giovan Battista Niccolini e
Gaetano Cioni. La convinzione di essere sulla buona strada è tale che nella
celebre lettera del 17 settembre a Tommaso Grossi gli raccomanda di non
crucciarsi per le contraffazioni e le ristampe non autorizzate: “Facciano un
po’ quel che vogliono, ch’io intanto sto preparando la mia seconda corretta e
accresciuta”.
Tuttavia, come
accaduto in precedenza, anche in questo caso ci vorranno anni perché il lavoro
venga portato a termine. Tornato a casa, tra Brusuglio e l’abitazione milanese
di Via Castel Morone, il Manzoni perde gli stimoli giusti, l’entusiasmo si
raffredda e la revisione segna il passo. Solo verso la fine degli anni Trenta
l’autore, che il 2 gennaio del 1837 si era risposato con Teresa Borri Stampa,
ritrova l’entusiasmo e la voglia per riprendere la correzione, e questo avviene
anche grazie alla frequentazione, assidua quanto fortuita, della fiorentina
Emilia Luti, una semplice governante. Lo scrittore desidera inoltre che il suo
capolavoro venga riccamente illustrato e se inizialmente si pensa di affidare
questo compito al celebre Francesco Hayez, vicino alla famiglia Stampa, la
scelta finale cade su Francesco Gonin, che è l’autore di circa 350 disegni dei
450 presenti nell’edizione definitiva: gli altri sono opera di Paolo e Luigi
Riccardi, Massimo D’Azeglio, Giuseppe Sogni, Luigi Bisi e Federico Moia,
Boulanger e le incisioni su legno vengono realizzate dagli intagliatori
francesi Bernard, Pollet e Loiseau, dall’inglese Sheeres e da Luigi Sacchi, che
ha anche il compito di raccogliere e coordinare gli xilografi e che a questo
scopo impianta un stabilimento a Milano.
L’opera esce a
dispense, 108 in totale, e la pubblicazione si conclude nel novembre 1842,
anche se sul frontespizio viene riportata la data d’inizio, 1840 (e per questo
si parla di edizione “quarantana”). Sono questi I
promessi sposi a cui si atterranno gli editori in futuro, quelli della
famosa “risciacquatura in Arno”: stampato a Milano da Guglielmini e Redaelli,
il volume consta di 864 pagine complessive compresa La storia della Colonna Infame, che qui vede la luce per la
prima volta e dalla quale l’autore si aspetta molto, anche se l’importanza di
questo scritto storico non viene recepita dal pubblico di allora.
Questa, però, non è
l’unica delusione del Manzoni: del libro vengono tirate circa 10 mila copie ma
il successo commerciale non è certo quello auspicato, tanto che lo scrittore,
che per l’occasione si era trasformato in editore investendo circa 80 mila lire,
a malapena riesce a incassare la metà di quanto ha speso.
Un breve cenno,
infine, meritano le legature della Quarantana. Le ultime dispense, dalla numero
100 alla 108, non escono con la consueta copertina gialla bensì con quella
definitiva, di colore azzurro, con i due titoli delle opere inquadrati in un
disegno del De Maurizio: gli esemplari che abbiano mantenuto la brossura
originale esercitano quindi un fascino particolare agli occhi dei bibliofili.
Ma esiste un’altra legatura che può essere considerata editoriale: si tratta di
una copertina in tela, chiamata dai francesi “percaline lustrée”, che viene
realizzata dall’editore francese Baudry su espressa richiesta del Manzoni, che
ne voleva di colori diversi. Come spiega Marino Parenti queste legature hanno
“impressioni a secco e in oro, talune a ferri comuni, altre a placche
espressamente eseguite con disegni riprodotti dal volume. Si riscontrano quasi
sempre in esemplari con dediche agli amici più intimi, ai collaboratori più
vicini e più raramente in esemplari apparsi in commercio”. E’ l’ultima rifinitura
– anche se puramente esteriore e, a onor del vero, non certo la più importante
– a un capolavoro destinato a durare per sempre.