VORREI ABITARE QUI. mostra personale di michele sambin


Lo stupore, il desiderio, sono da sempre compagni di strada di Michele Sambin. Dai primi anni ‘70 ad oggi, essi hanno idealmente affiancato l’artista nelle sue molteplici avventure multimediali, disegnando le coordinate espressive, ideologiche e operative del suo lavoro. Se le sperimentazioni con la macchina da presa sono sembrate non poter prescindere da un approccio stupefatto all’immagine in movimento, quelle che hanno congiunto la musica e le arti performative hanno trovato nel corpo il loro strumento privilegiato: un corpo di cui la drammaturgia elaborata dall’autore ha evidenziato, soprattutto, la propensione a desiderare.
A nostro avviso, stupore e desiderio rappresentano la materia di cui sono fatti anche gli splendidi lavori su carta esposti in questa occasione. In essi, il linguaggio del segno regala immagine a dimensioni fenomeniche e pulsioni psichiche che solo di rado aggallano sulla superficie delle arti visive.
Nelle opere astratto informali il segno produce una serie di scritture pittoriche che, attraverso frequenze ora più serrate, ora più fluide, esprimono una corrispondenza con la pulsazione del suono, con l’energia del corpo umano, con il ‘respiro’ di un’immaginazione disancorata da ogni convenzione rappresentativa. Tali lavori, nonostante la loro prossimità con il campo della pittura, rendono percepibile lo stato di meraviglia che accompagna l’atto del disegnare: un’attività primaria che assume qui un valore performativo, instaurando con la superficie un rapporto non dissimile da quello che il gesto dell’attore intreccia con lo spazio scenico.
Accedendo al codice figurativo, il segno si carica invece di richiami espressionisti, e viene condotto dall’artefice a tracciare il profilo di corpi posseduti dalle forze dell’Eros. A scaturirne sono immagini che manifestano l’eccitazione dei sensi in termini espliciti e, al tempo, visionari. Tuttavia, scegliendo di mettere a fuoco il tema del desiderio, Sambin risale inevitabilmente alle sorgenti del pensiero creativo: poiché ogni forma, immagine o canto non può che erompere dal desiderio di sostituire un’assenza, di reinventare un essere o un ente che si avverte come perduto. Non è allora senza significato che molte delle figure sopra descritte si staglino solitarie al centro della superficie cartacea, interpretando quella stessa condizione che la persona dell’artista rappresenta nella video installazione posta al termine del percorso espositivo, intitolata Solo: un lavoro in cui immagine, corpo, suono e segno si fondono per inseguire l’ennesima utopia sinestetica di una storia creativa tanto multiforme quanto intensa.