Testo critico di Barbara Codogno
(curatrice della mostra).
SILVIA PATRONO
Intimo segreto
“Silvia Patrono
mostra un’iniziale aderenza alla forma del reale che però, nell’atto della
trasposizione pittorica su tela, si sintetizza fino ad estremizzarsi, dando
inattesa vita a immaginifiche presenze. Negli ultimi lavori, l’atmosfera sospesa
e magica – contrassegnata dalla frequenza di un animale, quasi sempre il cane -
permea di surrealtà gli elementi e i contesti del vivere quotidiano che
approdano così al simbolico, moltiplicando verità nascoste e parallele, mai completamente
disvelate.
I suoi dipinti
restano appesi all’enigma del silenzio, costringendo l’osservatore – curioso
– a quel salto sognante che lo porta necessariamente dentro e oltre al dipinto;
immaginando quindi il seguito di quella scena che Patrono non spiega e non svolge.
Una narrazione
apparentemente monca, carica invece di un agito sotterraneo che dimora nell’ambiguità.
Questo
procedimento estetico ricorda senz’altro – anche per temperatura cromatica – i due
massimi esponenti della Nuova Scuola di Lipsia, Rosa Loy e Neo Rauch. Gli enigmatici
artisti dipingono scene dagli inquietanti intrecci narrativi che ricordano i
rebus, dove ogni gesto e ogni oggetto rimanda a una parola o a un’azione non
espressa, ma di cui percepiamo la violenza sottintesa. Enigmatico anche il tono
del colore.
Così è per Patrono
che in alcune “scene” è molto prossima anche ai meccanismi narrativi del
pittore Balthus.
Il suo lavoro
gode di un respiro antico che ci incastra in capsule mitiche. Prendiamo a esempio
la grande tela dal titolo “Rapsodia fiorita”. Una donna agghindata da fiori,
arbusti ed edera, è seminascosta dietro a un albero, mentre un giovane cervo alle
sue spalle si allontana veloce. La donna sembra fondersi, diventare tutt’uno
con l’albero.
Il tema della
donna – albero è una costante mitica e tutta la scena, così avvolta dalla luce
accecante, sembra proprio suggerire un pilastro mitologico di cui ha ampiamente
scritto (cfr. Il bagno di Diana) il filosofo Pierre Klossowsky, fratello del pittore
Balthus.
Diana è la dea
della caccia. Narra il mito che la Dea sta facendo il bagno nuda. Siamo a mezzogiorno,
la luce è accecante, Atteone raggiunge il folto del bosco con i suoi cani per
cacciare i cervi. Qui, lo sventurato ha l’ardire di vedere la Dea che, nuda, sta
facendo il bagno. Diana punisce il suo sguardo curioso e inopportuno e lo
trasforma in cervo. Atteone verrà cacciato e sbranato dai suoi stessi cani.
La visione della
Dea è infrazione di un tabù. Questo mito spiega come il Dio non debba essere guardato.
E osservando il dipinto di Patrono notiamo infatti che la presenza femminile è
nascosta dalla natura, che la ripara, la preserva. Mantiene il suo intimo
segreto.
Sono riservate e
segrete tutte le presenze femminili esposte in questa selezione di opere scelte
per la temporanea “L’ora del lupo”. Giovani donne rigorosamente vestite e
accompagnate da un animale, solitamente il cane.
Il cane che è il
simbolo della fedeltà, si trasforma in un lupo nel dipinto “Suspension”. Un
chiaro segnale di come la parte intima, nascosta e sotterranea del femminile non
sia solo rassicurante, fedele e addomestica. Piuttosto nasconda invece un’indole
segreta, animalesca e feroce. Ma anche nobile e fiera, come quel lupo totemico che
è animale guida, divinità egli stesso, alleato e custode dell’intimità inviolabile
del femminile”.
MARCO STRANO
Il signore di ogni gioco
“Marco
Strano è un artista che domina perfettamente la pittura, tanto da riuscire a
cavalcare più stili e percorsi narrativi, sempre traendo spunto dal suo
complesso e alto retroterra culturale che spazia dal cinema alla musica, dal
teatro alla musica. Partire da questo imprescindibile presupposto serve a
entrare nel composito mondo pittorico dell’autore che inanella capsule
tematiche, tenute però insieme dalla sua notevole capacità pittorica che da un
suono basso, cupo e avvolgente, una sorta di voce nera e pastosa.
Mi
riferisco in primis alla serie dedicate alle “Famiglie” dove Strano è sguardo
detonatore delle dinamiche relazionali. Un parallelo fotografico a questa serie
potrebbe essere l’opera di Diane Arbus, lei stessa coinvolta nel testimoniare l’elemento
perturbatore dell’ordine costituito, politico, linguistico e sociale.
Ma penso
anche ai suoi “Crash” dove su fondali di città apocalittiche – o paesaggi
urbani che ricordano per drammatica intensità quelli di Lopez Garcia - l’autore
colloca incidenti stradali: momenti di rottura del tempo e dello spazio; irruzione
mortale che chiarisce e disvela la dimensione di morte che già avvolgeva la
scena tutta. In questo caso il parallelo più esplicito è senz’altro con il
regista Cronenberg anche se alcuni dipinti rimandano inequivocabilmente alle
atmosfere melanconiche di Lars Von Trier.
Non a
caso cito questi due pilastri del cinema, perché in loro è forte la spinta di
due nuclei narrativi pulsionali: la morte e l’erotismo. Senz’altro l’eros è il
secondo motore, nero e angoscioso, ad agire nelle kafkiane tele di Strano. Vuoi
per l’esplicita presenza di nudi coinvolti in scene orgiastiche che sembrano
spingersi al cannibalismo, come nel suo “Interiors”, o per l’atmosfera sempre
ambigua e silente che carica di violenza le scene erotiche di “Incontro
notturno” o di “The beatiful game”.
Una
violenza che non è detta, non è realmente compiuta, come quella che avvertiamo
in “Quel giorno tra i limoni” dove un corpo dal biancore cadaverico giace semi
nascosto tra fiori e gialli e succosi limoni.
Una
violenza che da Strano è solo annunciata. La sua pennellata ha la potenza del
rintocco funebre e le sue figure -perfettamente rigide e sospese in un attimo eterno
- hanno la ieraticità del rigor mortis.
Magistrale
nell’espressione di questa ambiguità è “Incontro notturno” dove l’artista compone
una scena di nudi che mostra al centro una figura soccombente. Sembra di assistere
a un rito in cui si svolge la messa a morte del prescelto.
Il rito
è quella complessità liturgica che nasce con l’uomo e che prevede il sacrificio.
Solo dopo sorgerà il mito, ovvero la messa in scena del sacrificio stesso che
diventa perciò metafora. Il mito è un salto culturale. Ci si lascia alle spalle
la violenza del rito per sublimarla attraverso la sua rappresentazione.
L’indizio
del rito è molto importante, Strano inserisce ad effetto in “Viscere” il
ritratto del protagonista de “Il rito”, il celebre film di Bergman, a sua volta
il più kafkiano tra i registi.
La composizione
pittorica di Strano è un articolato ingranaggio di rimandi ed evocazioni.
Eppure, anche senza necessariamente possederne la chiave di accesso, la sua pittura
nera e assoluta funziona da grimaldello dell’anima perché grazie alla potenza
della simbologia apre i canali meno controllabili della psiche, attivando sfere
emozionali del profondo che sfuggono al nostro controllo e alle quali,
raramente, diamo voce. Piuttosto occultiamo, silenziamo.
Emblematico
è il dipinto “The beautiful game”: la scena si svolge in un ambiente chiuso e
buio. Compongono la scena due donne nude che fanno l’amore. L’aspetto perturbante
e inquietante del dipinto è nell’ombra che scaturisce dalle due figure e che
non rispecchia affatto la figura femminile ma la bestialità delle due, nella
cui ombra dimora un lupo.
Per
Strano la dimensione erotica è chiaramente allacciata all’ora del lupo, l’ora
in cui il male esce dall’invisibile e diventa certo. In Strano, sempre signore
di ogni gioco”.
Barbara
Codogno